Si comincia!
Smine, questo è uno spazio per te, con il quale puoi descrivere una vita media, una mente media, la gente media.....e puoi anche scegliere di spiccare il volo, di inseguire finalmente il tuo sogno e di mostrare a tutti ciò che vali!
E' un regalo per te, perchè io so che tu, il tuo sogno, lo puoi realizzare!
Con affetto,
Daria
E' un regalo per te, perchè io so che tu, il tuo sogno, lo puoi realizzare!
Con affetto,
Daria

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Mi chiamo Maria Stefania Minervini. Proprio così, due nomi, non Mariastefania o Maria, secondo nome Stefania o Stefania, secondo nome Maria. No, io mi chiamo Maria Stefania. E da un po’ sono convinta che questa duplicità impressa sin dal momento del distacco dal ventre materno mi abbia creato non pochi problemi.
E sono incomiciati già a scuola.
Solo imparando a scrivere il mio nome avevo praticamente imparato metà alfabeto. Oltre che sono stata tra le prime a dover apprendere come andare a capo. E vi assicuro che a sei anni non è poco. Ma a parte questo, sono sempre più convinta che a questi due nomi corrispondano altrettante persone che in me coesistono, abitano in una sorta di appartamento duplex, una al piano di sopra e una al piano di sotto. Due persone che si conoscono da una vita, ma non per questo si amano; due persone che a volte si sopportano, ma che proprio non riescono a fare a meno l’una dell’altra.
Un po’ come un matrimonio.
Ma senza sesso.
Questo l’antefatto: prima di me tre sorelle. Tre adorabili bambine. In un’epoca in cui le ecografie non cucinavano i ventri materni già da quando il feto ha poche ore di vita,riuscite a immaginare la tensione emotiva di mio padre, che attendeva il maschietto fatidico per nove lunghi mesi! Magliette azzurre, divise del milan, palloni di calcio, due birre già stappate come un qualsiasi padre che assapora la nascita di un figlio maschio come un vino novello. E per quattro volte, questa consueta delusione. Non è difficile capire come con me, l’ultima, fosse parecchio arrabbiato. Ad ogni modo, procediamo con ordine. La primogenita porterà il nome della nonna paterna. E che diamine! Siamo una famiglia del sud sì o no? Certo, abitiamo tutti a Bari, abbiamo uno stuolo di cugini, diamo da mangiare la parmigiana di melanzane ai bambini di quattro mesi:siamo a tutti gli effetti una famiglia del sud. Quindi la primogenita si chiamerà Giustina Minervini, con buona pace della nonna materna, che si rifarà con qualche altra nipote. E sì perché mio padre era convinto che da li’ in poi tutti maschi! Giustina cresce e la mamma pietosa le accorcia il simpatico nome di battesimo, degno della più cattiva delle direttrici di collegio di Candy Candy, in “Giusy”. Ma mamma Minervini, più feconda di un campo lasciato a maggese, dopo poco è nuovamente in attesa. Parte il totoscommesse sul sesso del nascituro, mio padre prenota già l’abbonamento per 15 anni alle partite del milan e ancora femmina! Mio padre comincia ad alterarsi. E per poter avere anche lui un motivo di giubilo chiede a mia madre di poter dare alla nuova arrivata il nome di una sua cara amica. Ora, mio padre non è mai stato per me il re del tatto e del savoir faire. Certo che a volte avrei voluto essere stata una mosca piccola piccola e gustarmi la scena in cui mia madre madida di sudore, dopo l’estremo sforzo di strapparsi dalle viscere la sua creatura guarda mio padre che candido le dice: “Cara, avrei preferito un maschio, ma è COMUNQUE una bella bambina…perché non la chiamiamo Roberta, come quella mia amica di scuola…ricordi?”. Fatto sta che la secondogenita si è chiamata Roberta per i suoi purtroppo pochi anni di vita. E sempre sarà Roberta nei nostri cuori. Ma questa è un’altra storia o meglio, è sempre la mia…però io non ero ancora nata. E nasco proprio dopo questo tragico evento. E porto due nomi…insomma…ci arriviamo dopo.
La famiglia a quattro, lascia tutti contenti. I novelli sposi hanno scodellato due belle bambine nel giro di appena tre anni e il datore di lavoro di mia madre si stava appena riprendendo dalla notizia della seconda gravidanza della sua segreteria, quando il super cecchino Ilario Minervini…centra ancora il bersaglio (probabilmente speranzoso di arrivare a sfruttare i duecentoventi palloni da calcio acquistati negli anni). Fatto sta che questa terza gravidanza non è accolta nel migliore dei modi. Ma con il motto “dove si mangia in quattro si mangia anche in cinque”…i nove mesi passano indisturbati e sempre all’ospedale di Trani, in provincia di Bari, dove ogni anno l’ostetrica ricordava i compleanni in base alle figlie Minervini nate…in un assolato giorno di maggio nasce….Giulio? Giacomo? Luigi? Achille?…No! un’altra bambina. Ancora una volta mio padre, forse vendicativo con una sorte beffarda, di fronte al funzionario comunale sceglie di dare onore ad una delle sue innumerevoli “care amiche di scuola”, sempre con l’infinita riconoscenza di mia madre. Alessandra diventa per tutti, amorevolmente, Sandra (ecco una delle tante contraddizioni della mia famiglia: perché cavolo scegliere un nome e non usarlo per tutta la vita?!) e cresce felice con le sue sorelline fino all’età di quattro anni, fino a quando, appunto, Roberta lascia questo mondo per una futile caduta, durante un futile gioco da bambina per rispondere (mi sono detta negli anni) ad un probabilmente per nulla futile disegno di Dio.
La famiglia Minervini è ovviamente, piuttosto scossa, ma mamma Minervini si dice pronta per avere un altro bambino (è necessario dire che io sono ancora oggi piuttosto scettica su questa cosa o si intuisce a sufficienza?). E allora mio padre pensa che possa davvero essere la volta buona e, per sfatare ogni pronostico decide già il nome: quello del fratello maggiore “Mauro”. Io nasco con quasi 24 ore di ritardo, con una mezza carenza di ossigeno e quindi di un colore violaceo-quaresima, il muso schiacciato e le fattezze dell’uomo di Neanderthal. Ma inequivocabilmente femmina. Qualunque “cosa” fossi: essere umano, vegetale, animale (con quel colore si sprecavano le ipotesi) ero inequivocabilmente femmina. Mio padre, che probabilmente negli anni si era convinto che mia madre bevesse delle pozioni magiche per condizionare l’esito del sesso e fargli dispetto, aveva ormai sperimentato la sua strategia per rispondere a tono al torto subito sfoderando ancora una volta una delle sue amiche che avrebbe accompagnato l’esistenza della mia gelosissima mamma. Stavolta papà sentenzia: “Stefania! La…cosa viola…la chiamiamo Stefania”
“E no” replica mia madre, “ora basta! Ora tocca a mia madre avere la soddisfazione di avere una nipote che porta il suo nome (siamo a tutti gli effetti una famiglia del sud), si chiamerà Maria!”.
Il battibecco prosegue più o meno uguale per un’oretta circa durante la quale io ho attraversato virtualmente quattro ere geologiche di evoluzione della specie e sono diventata una rosa bambina sapiens. Quando mio padre si è avviato verso la porta per dirigersi dal funzionario comunale (che, detto tra noi, si faceva un sacco di risate ogni volta che apprendeva che era nata un’altra femmina) mia madre l’ha fulminato con quella che è ancora il suo cavallo di battaglia, quella che io chiamo “la frase a metà”. Suona più o meno così: “guarda Ilario che….vedi che…eh! ci siamo capiti. ooooh!”.
Tipica del sud la frase a metà ha effetto in diverse situazioni, è duttile e adattabile a situazioni, persone e contesti con il minimo sforzo. Anche questo è tipico del sud. Insomma fatto sta che Ilario si reca dal funzionario comunale.
La scena è più o meno questa:
“Uè Ilà! Di nuovo qua stai?”(al sud il verbo in una frase, è sempre alla fine)
“Sì…è femmina” (sconsolato)
“E te pareva” (canzonatorio).
“E come la chiamiamo?” (al sud, per dire “Io” si usa spesso il plurale)
“Maria….” (con tono di sospensione di chi non ha finito la frase)
“Maria e basta?”
“Sì Maria….” (la sospensione è ancora più accentuata di prima)
“Vabbuo’ Ilà, Maria ho capito”
“No, che hai capito…Maria Stefania”
“Ilà ma un nome solo? O due nomi? Maria e Stefania”
“Due nomi, Maria e Stefania. Ma senza la “e” in mezzo”. (Meno male).
E così questa sono io. Da ventotto anni un po’ Maria un po’ Stefania. Sembra facile. A casa mi chiamano tutti Maria. Ma poi vado a scuola e nel registro scolastico tutto sto popo’ di nome e cognome non ci sta, quindi nel registro divento M.Stefania Minervini. Conclusione: nell’appello la “emmepunto” sparisce e resta Stefania Minervini. Abituati tu quindi a girarti quando la gente chiama: “Stefania!” continuando comunque ad essere “Marì” a casa tua.
Anche perché poi, gli amici di scuola a casa li inviti e restano un po’ straniti quando tutti ti chiamano “Marì”. Come minimo pensano “Ma a casa di chi sono andata a mangiare?”.
Un po’ Maria un po’ Stefania dicevo. Un po’ Maria, un nome da Regina, da Madre universale, da persona sempre al suo posto, studente esemplare, figlia ubbidiente, che mai da’ problemi, un’amica sempre disponibile, una compagna silenziosa. E un po’ Stefania, irrequieta, insicura, che sente che non ha ancora trovato il suo posto nel mondo, spaventata. Stefania che ha voglia di gridare, di farsi sentire, di togliere il bavaglio.
Maria è l’equilibrio. Cerca la pace è stufa di tormentarsi per capire il mondo. Stefania non ha mai accettato un “no” se prima non ne ha compreso il perché. Stefania sembra non essere mai stufa di farsi soffiare dentro da qualsiasi vento e tende ad interrogarsi su tutto, senza mai dare ossigeno alla sua mente indaffarata, senza mai fidarsi non tanto degli altri, ma di se stessa, dell’istinto, di quello che capita. Non so a chi voglio più bene. Maria mi da’ più serenità ma Stefania ha un’irresistibile fascino. Quando Maria e Stefania vanno d’accordo allora comincio a scrivere. Scrivo perché finalmente possono dire cio’ che hanno da dire, l’una contro l’altra. Scrivo cio’ che magari è difficile comprendere se non si ha una Maria e una Stefania che litigano dentro, ma devo farlo perché loro possano sfogarsi e dire la loro. Scrivo perché è l’unico momento in cui loro si danno la mano e permettono a Maria Stefania di essere una persona nuova, forse non migliore, ma UNA persona sola.
Maria Stefania Minervini. Io.
By
Smine on line, at 11:44 AM
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